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Andy Warhol e la Pop art

Dopo gli anni Cinquanta, è ormai chiaro che la maggior parte delle potenze occidentali sta attraversando un passaggio da un’economia prevalentemente agricola ad una industriale. Il boom economico è alimentato dall’incremento della domanda di prodotti a cui non si può più fare a meno.

Lo scooter e l’automobile si diffondono come mezzi di trasporto urbano. Il frigorifero, l’aspirapolvere, la lavatrice e il frullatore sono il simbolo di questa nuova ricchezza diffusa che, tra l’altro, solleva la donna da un impegno totalizzante all’interno delle mura domestiche.

La società dei consumi è il tema principale della Pop Art che nasce in Gran Bretagna con la mostra This is tomorrow di Londra nel 1956 e si diffonde soprattutto negli Stati Uniti con artisti come Andy Warhol e Roy Lichtenstein.

Il consumo delle merci

Il consumo ha come scopo la soddisfazione dei bisogni ma, in questa fase, si caratterizza anche come l’ostentazione di beni, l’affermazione della propria posizione sociale (lo status symbol) e il concedersi alla gratuità, ovvero al possesso di oggetti inutili o gadgets. Dopo aver prodotto l’indispensabile, infatti, l’economia capitalistica offre l’inutile.

Secondo il filosofo francese Jean Baudrillard, ogni oggetto ha una sua utilità, riveste un valore economico e ha la facoltà di significare qualcos’altro rispetto alla sua funzione. Un oggetto, infatti, può significare una relazione, uno status, un mito e può essere un simbolo di differenziazione sociale.

Con il consumo delle merci, quindi, la persona manifesta la sua vitalità e sovranità nella società. I beni di consumo sono gli oggetti del desiderio dei consumatori e la pubblicità contribuisce ad acquistarli e possederli.

Il ruolo dell’arte: nasce la Pop Art

Di fronte a una società che consuma freneticamente tutto ciò che progetta e produce, gli artisti rinunciano a rimettere ordine a un mondo che ha perso la spiritualità e si abbandonano a un’esperienza disincantata in un mondo industrializzato, consumistico, spettacolare.

Gli artisti pop, quindi, riproducono la realtà banale e disordinata senza alcun intento di denuncia morale, politica e ideologica. Accettano le immagini, le forme e le figure prodotte dalla società dei consumi e ne amplificano il carattere comunicativo, estetico, seriale e standardizzato.

1956 e 1964: due mostre pop

Nel 1956, nella mostra londinese This is tomorrow, Richard Hamilton presenta un collage di ritagli di giornale che pubblicizzano oggetti di consumo andando a formare l’interno di una casa con un uomo nudo, muscoloso, in posa come una statua greca, con un enorme lecca-lecca che porta il nome di Pop.

Pop Art Hamilton
Hamilton, Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing?, 1956

In un’unica stanza, infatti, Hamilton propone una serie di oggetti del desiderio moderno, contrassegnati dalla ricerca del piacere. Anche le allusioni sessuali sono evidenti. Nonostante il tono ironico, l’artista non ha intenti polemici verso le nuove espressioni della società ma si limita a riconoscere la realtà contemporanea.

La consacrazione internazionale della pop art avviene alla Biennale di Venezia del 1964. Le opere sono di altissimo livello. Tuttavia, agli occhi del pubblico, sembra che lo sforzo ideativo e la realizzazione tecnica delle opere siano semplici, non così importanti da essere testimoniate. In effetti, i materiali, i colori e i supporti di tipo industriale posseggono l’aspetto di un’esecutività veloce e meccanica.

Andy Warhol e la serigrafia

In effetti, la tecnica di lavoro di Warhol appare fredda e meccanica. Molte opere sono realizzate attraverso la serigrafia, un procedimento di stampa in cui la matrice è una tela montata su un telaio e trattata con una gelatina sensibile alla luce che imprime un’immagine fotografica. Su tale immagine, successivamente, è possibile passare del colore.

Procedimento serigrafico di Warhol

Le più celebri serigrafie di Warhol sono i ritratti di personaggi celebri. I volti sono riproposti più volte con inchiostri industriali colorati stesi in modo piatto. La cromia aggressiva, innaturale e contrastata risalta subito agli occhi.

Il volto, così, diventa merce e ciò che conta è la riconoscibilità. La riproduzione seriale di una stessa immagine ricorda il bombardamento di immagini operato dai media poiché lo scopo finale è la vendita.

La merce diventa arte

La ripetizione di uno stesso soggetto è sperimentata anche sui prodotti alimentari presenti in tutte le case americane. Warhol ripropone le lattine di zuppa precotta della ditta Campbell, le bottiglie di vetro della bevanda analcolica Coca-Cola (inventata nel 1919 da un farmacista di Atlanta) e gli scatoli da imballaggio delle spugnette saponate per i piatti Brillo.

Con queste opere, Warhol ribadisce di non voler operare alcuna critica alla società americana. Tuttavia, chi osserva non può non riflettere sul cinismo dei mezzi di comunicazione di massa, sull’invasione del cibo industriale e la ripetitività ossessiva delle immagini pubblicitarie.

Al cospetto delle Brillo boxes, il filosofo e critico d’arte americano Arthur Danto (1924-2013) si chiede “quale sia la differenza tra due cose esattamente identiche, una delle quali è arte e l’altra no“. Secondo Danto, quindi, “ciò che fa di qualcosa un’opera d’arte è invisibile all’occhio, è sterno all’oggetto stesso“. A trasformare un oggetto in opere d’arte è l’intenzione dell’artista e l’interpretazione del critico d’arte (che, tuttavia, deve attenersi al pensiero dell’artista).

L’arte contemporanea, difatti, è spesso del tutto incomprensibile se non si conosce la storia e l’intenzione dell’artista.

L’artista diventa star

pop art America Warhol
Ritratto di Andy Warhol, 1971, New York. (Photo by David Gahr/Getty Images). Per altre foto della Factory, clicca qui

In questa ottica, l’artista diventa un business-artist, un imprenditore di sé stesso. Nel 1963, Warhol apre la sua Factory a New York, ovvero uno studio organizzato con assistenti in cui produrre opere d’arte, adibito anche ad incontri ed iniziative, spazio espositivo e commerciale.

Warhol non è più l’artista che va contro corrente, deriso e incompreso, che fugge dalla realtà e dalla società contemporanea. Diventa una vera icona, un divo riconoscibile negli ambienti mondiali con una specifica immagine esteriore. Egli è colui che produce opere che l’americano medio capisce e in cui i giovani si riconoscono.

L’opera di Warhol non appare intellettualmente rispettabile a causa dell’assenza della profondità di significato che si riconosce all’espressionismo astratto di Pollock e Rothko.

Artisti e opere della Pop art americana

Allen Jones (1937)

Al pari di una merce, Jones propone il corpo femminile come oggetto di feticismo e di analisi ossessiva. Nella serie “Woman as Furniture“, la donna si trasforma in una scultura di arredamento in vetroresina con pose che rimandano all’immaginario erotico collettivo

Tom Wesselmann (1931-2004)

Sulla scia della contestazione politica e sociale del Sessantotto, sorta negli Stati Uniti contro la guerra in Vietnam e diffusa in Europa come ribellione anti-sistema, Wesselmann sottolinea i vorticosi cambiamenti sociali che vedono lo smantellamento di molti tabù e l’affermazione di comportamenti liberi dai condizionamenti della tradizione.

pop art America Wesselmann
“Smoker #5 ((Photo by DANIEL LEAL/AFP via Getty Images)

La serie Great American Nudes è composta da opere di grande formato bidimensionali e fuori scala, ingigantite, realizzate con la tecnica del collage o dipinte con campiture piatte per mezzo di acrilici e lacche. La figura femminile è protagonista: le labbra carnose e i corpi sensuali esaltano il nuovo ruolo della donna che rivendica libertà sessuali, parità e diritti.

pop art America Wesselmann
Nudes n.1, 1970, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid

Wesselmann, tuttavia, non si sottrae a rappresentare un’America consumista, superficiale e facile preda delle lusinghe nelle sue innumerevoli Still life contemporanee.

Roy Lichtenstein (1923-1997)

La manipolazione delle immagini della civiltà contemporanea e l’interscambio tra media diversi è alla base del lavoro di Lichtenstein che estrae immagini e scene dai fumetti proponendo una doppia lettura concettuale.

C’è, infatti, un aspetto ludico e ironico poiché la gente tende ad immedesimarsi nella fantasia dei fumetti come se questi rappresentassero la realtà. Estraendo le singole immagini dal contesto narrativo di un fumetto realmente pubblicato, l’artista apre nuovi orizzonti di significato in cui esalta l’espressione melodrammatica femminile e i combattimenti tra mezzi militari e supereroi.

In realtà, a Lichtenstein interessa l’aspetto formale dell’opera.

Si tratta di una pittura che raggiunge l’effetto del fumetto attraverso pochi colori brillanti, senza chiaroscuro, con le figure sigillate in uno spesso contorno nero, alla Gauguin. L’uso degli acrilici sulla tela consente stesure talmente piatte da rendere irriconoscibili i passaggi del pennello, e quindi la vibrazione della mano. Attraverso una fittissima serie di puntini tutti identici tra loro, egli simula il retino tipografico di una stampa di bassa qualità.

1 commento su “Andy Warhol e la Pop art”

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