Nel 1909 Giorgio De Chirico (1888-1978) è uno sconosciuto pittore ventunenne che trascorre alcune settimane a Firenze, presso lo zio materno. Tuttavia, ha già compiuto numerosi viaggi nelle maggiori città europee.
Ha trascorso, infatti, l’infanzia ad Atene dove il padre lavora come ingegnere per i lavori di costruzione di una linea ferroviaria. La morte del padre, però, obbliga la famiglia al trasferimento. Venezia, Milano, poi Monaco di Baviera dove frequenta l’Accademia.
Quel pomeriggio a Santa Croce
In quell’autunno del 1909, soffre di gastrite, con violenti spasmi che gli procurano una percezione alterata della realtà. De Chirico racconta:
Durante un chiaro pomeriggio d’autunno ero seduto su una panca in mezzo a Piazza Santa Croce a Firenze. Ero appena uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale e mi trovavo in uno stato di sensibilità quasi morbosa. La natura intera, fino al marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. In mezzo alla piazza si leva una statua che rappresenta Dante […]. Il sole autunnale, tiepido e senza amore, illuminava la statua e la facciata del tempio. Ebbi allora la strana impressione di vedere tutte quelle cose per la prima volta. E la composizione del quadro apparve al mio spirito; ed ogni volta che guardo questo quadro rivivo quel momento. Momento che tuttavia è un enigma per me, perché è inesplicabile.
Tale esperienza diventa un’opera intitolata Enigma di un pomeriggio d’autunno (1910, olio su tela).

Rispetto alla realtà, però, la piazza di Santa Croce appare trasformata e collocata in una dimensione temporale indefinibile.

Il suolo è sabbioso, il cielo ha un’intonazione verdastra, la statua di Dante è una statua classica acefala. Da gotica, la chiesa muta in un tempietto greco oscurato dalle tende. C’è ua strana quiete, carica di tensione. Il silenzio che si percepisce è interrotto dai rivoli d’acqua delle fontanelle alla base della statua e dai due personaggi sconsolati. In lontananza, un veliero rimanda al movimento.
A Parigi, l’avvio delle Piazze d’Italia
Nell’estate del 1911, De Chirico si trasferisce a Parigi, il centro europeo artistico più importante delle Avanguardie, entrando in contatto con gli esponenti del Cubismo, con Modigliani, i fauves, con poeti e galleristi.
Qui nasce una serie di opere chiamate Piazze d’Italia ossia delle vedute urbane dipinte con realismo e sobrietà. È l’inizio della pittura metafisica (dal greco metà, “oltre”, e physis, “natura”) che indaga gli aspetti della realtà non percepibili dai sensi. Cosa vuol dire?

La piazza non è riconoscibile, non è associabile ad una piazza italiana esistente. Perde, dunque, la propria connotazione topografica. Ogni opera rivela della anomolie che modificano la prima impressione serena e tranquilla e incute nello spettatore sensazioni inquietanti.



Le caratteristiche delle piazze
Alla vista delle opere, lo spettatore prova un senso di disagio ed ansia perché
- nell’organizzazione degli spazi e dei volumi, De Chirico compie volutamente degli errori nella costruzione prospettica;
- le luci e i colori sono utilizzati con netti contrasti, non sempre motivati, tra zone chiare e limpide e altre oscure e velate (ombre lunghissime);
- vi è un’accentuazione di spazi vuoti, i personaggi sono assenti e, quando ci sono, hanno piccole dimensioni;
- ci sono oggetti appartenenti a contesti lontani tra loro che, ravvicinati, creano una sorta di cortocircuito semantico. Ad esempio, le statue classiche rimandano alla conoscenza dell’arte greca antica appresa ad Atene, la ferrovia al mestiere del padre (ma anche simbolo di partenza, distacco e instabilità); i portici e le arcate alle architetture medievali italiane. Ma messi assieme, uno accanto all’altro, perdono il loro significato originario.
Da un punto di vista compositivo e stilistico, la pittura metafisica è figurativa e si inserisce nel solco della tradizione pittorica italiana. Non ci sono sperimentazioni nell’uso del colore e delle forme, come ad es. nel Cubismo o nell’Espressionismo. La metafisica, infatti, invita all’introspezione e indaga l’aspetto nascosto dell’esistenza.
I rapporti con la filosofia
Ogni oggetto, dunque, è sottratto dal proprio contesto abituale e si ritrova accostato ad un altro secondo un procedimento illogico. In tale operazione, è possibile ravvisare l’influenza del pensiero di Schopenhauer. Egli definisce la pazzia come lo smarrimento della catena dei ricordi. Nella vita quotidiana, la memoria permette di collegare le cose tra loro e afferrarne il senso. La perdita di memoria, quindi, rivela un’inquietante insensatezza perché si smarrisce quel senso.
Inoltre, De Chirico è molto suggestionato dal pensiero di Nietzsche. In Così parlò Zarathustra, si chiarisce la differenza tra la tristezza e la malinconia. La prima esclude il pensiero. La seconda, invece, è alimentata dal pensiero ed è, quindi, una caratteristica dell’uomo meditativo. La malinconia è provocata da un senso di profonda frustrazione poiché l’uomo è incapace a trovare risposte efficaci sull’eterno mistero della vita e sullo scopo dell’esistenza. L’enigma, dopotutto, è una componenet dei quadri di De Chirico.

Ne Le muse inquietanti, ad esempio, la composizione enigmatica della piazza è favorita dalla spersonalizzazione della figura umana e dalla sua trasformazione in una sorta di manichini da sartoria, con la parte inferiore scanalata come una colonna dorica. Sul fondo, il castello rinascimentale di Ferrara allude al periodo trascorso dal pittore in una caserma della città durante il primo conflitto mondiale (1915-16).
Le città al tempo del Coronavirus
Se la visione di De Chirico, in quel pomeriggio fiorentino, è causata da uno stato di malessere personale, oggi le città sono vuote a causa della diffusione mondiale dell’epidemia del Coronavirus e delle conseguenti e necessarie misure di contenimento decise dal governo italiano. Questo video del Corriere della sera mostra come gli spazi pubblici, solitamente affollati, risultano deserti.
Una piazza vuota perde la sua funzione per la quale è nata. Essa, infatti, è la più originale creazione della città italiana, l’erede più nobile e consapevole dell’agorà greca e del foro romano. Esiste perché c’è una trama urbana che la circonda, una stratificazione storica, una memoria culturale dei cittadini che la abitano [Settis]. Nella tradizione occidentale, lo spazio pubblico caratterizza la vita democratica, la sua libertà e qualità. In altre parole, è nella piazza civica che diventiamo cittadini, cioè soggetti politici. Non a caso, il termine politica deriva da polis, che in greco vuol dire “città”.
Piazza e democrazia
Per lo storico e sociologo americano Christopher Lasch (1932-94), uno dei motivi del deterioramento della democrazia negli Stati Uniti
è proprio la decadenza dei luoghi di incontro informali che cedono il passo agli shopping malls, alle catene di fast food, ai take away. Quando il mercato esercita il diritto di prelazione su qualsiasi spazio pubblico e la socializzazione deve ritirarsi nei club privati, la gente corre il rischio di perdere la capacità di divertirsi e autogovernarsi.
In Italia, lo storico dell’arte e archeologo Salvatore Settis, da tempo, si scaglia contro il progressivo logoramento della funzione e del ruolo della piazza all’interno della città. Essa, infatti, è spesso utilizzata come location di vari eventi che ne alternano la sua natura, è presa d’assalto da bancarelle kitsch come la piazza dei Miracoli a Pisa, è messa a rischio da decisioni politiche scellerate dettate dal profitto come il passaggio delle grandi navi da crociera nei pressi del bacino di piazza San Marco a Venezia.

La piazza e la Costituzione italiana
La piazza è un luogo pubblico e non può essere trasformato in un luogo di mercato inteso, cioè, come uno spazio in cui la persona è misurata in base al proprio reddito e non in quanto cittadino con diritti e doveri.
D’altronde, la piazza è un luogo la cui funzione è sancita dalla nostra Costituzione. In particolare:
- art. 9: la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. La piazza quindi come bene culturale;
- art. 16: ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale ed art. 17: i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. La piazza è il luogo di aggregazione e di grandi rituali collettivi (ad es. il palio di Siena);
- art. 19: tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa. Nelle piazze avvengono celebrazioni religiose di qualsiasi tipo (processioni, feste patronali… );
- art. 21: tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione ed art. 40: il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano. La piazza è il luogo delle proteste, delle rivendicazioni sociali e lavorative, in ogni periodo storico.
Bologna, piazza Maggiore, il movimento delle Sardine Milano, piazza Duomo, Friday for future
Siena, piazza del Campo, Palio cittadino Matera, piazza Vittorio Veneto, la Madonna della Bruna
Per il fotografo Michele Smargiassi, la piazza è una rinuncia perché si decide di non edificare, di non riempire di metri cubi di cemento armato una parte della città. Insomma, è un vuoto urbano volutamente lasciato vuoto, uno spazio aperto interdetto alla costruzione di spazi chiusi.
Per approfondire
- Salvatore Settis, Paesaggio Costituzione cemento: la battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Torino, Einaudi, 2019;
- Salvatore Settis, Architettura e democrazia: paesaggio, città, diritti civili, Torino, Einaudi, 2017;
- Salvatore Settis, Il diritto alla cultura nella Costituzione italiana, Udine, Forum, 2016;
- Salvatore Settis, Se Venezia muore, Torino, Einaudi, 2014;
- Tomaso Montanari, Costituzione italiana: articolo 9, Roma, Carocci, 2018;
- Tomaso Montanari, Gli spazi comuni al tempo del virus, 2020;
- La piazza luogo dell’incontro e della memoria, prima prova scritta dell’Esame di stato, a.s. 2000-01;
- Armando Rotoletti, Sicilia in piazza, progetto fotografico sulle piazze siciliane
3 commenti su “Le piazze di De Chirico e del Covid-19”