Nel Quattrocento, il ritratto si esegue in due differenti modi. Esistono i ritratti all’italiana, di cui ho già parlato in un post precedente (clicca qui) e il ritratto fiammingo al quale è dedicato questo approfondimento.
Le Fiandre, dove tutto ha inizio

Gli anni venti del Quattrocento sono un periodo cruciale per la pittura europea. Da una parte c’è Firenze con Masaccio, dall’altra parte esiste un gruppo di giovani artisti che si fa promotore di un’arte nuova con mezzi e stili differenti nelle regioni delle Fiandre e della Borgogna.
Alla fine del Trecento, infatti, il ducato di Borgogna è una delle regioni europee più floride e potenti, il luogo ideale per gli scambi commerciali e lo sviluppo delle industrie manifatturiere. I maggiori centri commerciali sono nelle Fiandre, nelle zone intorno alle città di Bruxelles e Bruges.
Il ruolo della borghesia
Questi territori, quindi, sono popolati da un ceto medio benestante, che dimostra attraverso la richiesta di opere d’arte e di beni di lusso la ricchezza acquisita. Nasce, così, il ritratto di borghesi, mercanti, umanisti, uomini di legge, medici che scelgono di farsi rappresentare per tramandare ai posteri la propria memoria.
Spesso tali ritratti mirano a cogliere un particolare momento dell’esistenza dell’individuo, un evento economico o professionale, un episodio affettivo o legato alla quotidianità familiare.
Il ritratto fiammingo
Rispetto al ritratto all’italiana, il ritratto fiammingo è costituito dalla figura a mezzo busto, di tre quarti, collocata davanti a un fondo scuro, che include anche le mani, nelle quali, spesso, sono poste degli oggetti che rimandano alla professione dell’individuo.
Le opere di van Eyck
Il miglior ritrattista è Jan van Eyck (1390-1441 ca), pittore di corte di Filippo il Buono, straordinariamente abile tanto che alle sue figure umane “manca soltanto il respiro”.
La cifra stilistica dei suoi ritratti si può riassumere in tre punti:
- l’attenzione per le caratteristiche fisiche che vengono indagate in maniera minuziosa. Sembra che il pittore utilizzi il pennello e la lente di ingrandimento (non a caso, si parla di pittura lenticolare);
- la resa fedele dell’abbigliamento per esaltare il lusso e la ricchezza della nuova classe mercantile e imprenditoriale;
- l’utilizzo di colori ad olio per ottenere sorprendenti effetti di luminosità e trasparenza
Il più antico ritratto
Il più antico ritratto autonomo esistente di Van Eyck risale al 1429 e rappresenta un uomo con la veste di pelliccia abbinata al raffinato copricapo blu. L’anatomia dettagliata della barbetta, del naso appuntito, delle ciglia è definita anche dal modo in cui la luce batte sulle irregolarità della pelle. La mano destra, che ruota nello spazio, reca un anello ed allude a una promessa di impegno per un matrimonio.

Un orefice di Bruges
Nel Ritratto di Jan de Leeuw (1436), invece, la presenza dell’anello indica la professione dell’uomo, uno dei più importanti orefici di Bruges. Sulla cornice dipinta in finto metallo, corre una lunga iscrizione in versi che riporta l’identità e la data di nascita dell’uomo che guarda lo spettatore con un’espressione penetrante. La descrizione minuziosa delle parti anatomiche (la bocca carnosa, la lunga linea delle sopracciglia, l’attaccatura dei capelli appena visibile sotto il copricapo) si ritrova anche nella rappresentazione di uomini di età avanzata, come il cardinale Albergati.
Jean van Eyck, Ritratto di Jan de Leeuw, 1436 Jean van Eyck, Ritratto del cardinale Albergati, [1438?]
L’autoritratto di van Eyck
A sconcertare, è il presunto autoritratto dell’artista: gli occhi, contornati da rughe, sono intensi e penetranti, la bocca sottile, segnata all’angolo da una fossetta, l’espressione seria e decisa che restituisce l’immagine concentrata di un uomo acuto e intelligente.

Antonello da Messina
Vero erede italiano del ritratto fiammingo è Antonello da Messina (1430-79) che segue modelli nordici probabilmente studiati a Napoli, crocevia di rotte mediterranee. Ma il messinese, rispetto a Van Eyck, semplifica gli attributi della figura e punta l’attenzione sulla luminosità del viso e sullo sguardo, esaltato a tal punto da diventare specchio dell’anima.
Il ritratto conservato a Torino
Uno dei ritratti più famosi è conservato a Torino, all’interno di Palazzo Madama, sede del museo civico.

L’uomo si affaccia su una balaustra, sulla quale è illusionisticamente attaccato un bigliettino con la firma dell’artista e la data di esecuzione. Indossa un berretto nero ed una pesante cappa rossa solcata da pieghe verticali sopra una camicia bianca di cui si intravede appena l’orlo sopra il colletto. Si tratta del tipico abbigliamento dell’alta borghesia mercantile del Quattrocento.
La figura emerge nella luce da un fondo scuro e sono proprio i graduali passaggi di luce a modellarne le forme. La profondità è data dalle fattezze del volto (gli zigomi, il naso e la bocca sporgenti), dalle pieghe della veste e dalla falda del copricapo che ricadendo sopra la spalla proietta la propria ombra sul vestito.
I dettagli

In maniera assai particolareggiata, Antonello esegue alcuni dettagli del volto, come i capillari nella sclera degli occhi, le sopracciglia folte e scompigliate, le rughe della fronte con alcuni difetti della pelle, la leggera ombreggiatura bluastra sulla pelle intorno alla bocca che sembra dovuta ad una recente rasatura, la parte della tempia in ombra afflitta da una avanzata calvizie.
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